PSICOLOGIA

Quando i bambini non parlano

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I bambini che ritardano a parlare: logopedista e psicologa ci aiutano a fare chiarezza

Molto spesso capita che i nostri figli non parlino e per noi genitori i motivi possono essere sconosciuti quindi abbiamo pensato di dedicare uno spazio a questo argomento.

Rispondono alle nostre domande  la Dottoressa Daniela Razzini (Logopedista presso Asst Santi Paolo e Carlo, Uonpia) e la conosciutissima e stimata  Dottoressa Maddalena Castelletti  (Psicologa Clinica esperta in Neuro-biofeedback)



Risponde alle domande la Dottoressa Daniela Razzini :

Sempre più spesso i nostri bambini hanno difficoltà nello sviluppo del linguaggio, quando dobbiamo allarmarci?
Posto che lo sviluppo del linguaggio segue delle tappe universali, vi è però un’importante variabilità tra i bambini, poiché intervengono molteplici fattori, sia biologici che ambientali. Inoltre il linguaggio è così fittamente legato agli aspetti cognitivi ed è doveroso precisare cosa si intende per linguaggio: dato che il linguaggio comprende diversi domini (la comprensione e la produzione verbale) , diverse modalità (vocale e gestuale) e sotto la sua etichetta vi sono le sue differenti sottocomponenti (il lessico ovvero il vocabolario posseduto dal bambino, la morfosintassi ovvero la costruzione della frase e l’aspetto fonologico ovvero la “pronuncia”).

Quali sono i campanelli d’allarme che segnalano un disturbo di linguaggio?
Possiamo trovare segnali predittivi delle difficoltà di linguaggio, già molto precocemente. Ad esempio, si sa che verso i 6 mesi il bambino entra nella fase della cosiddetta lallazione (babbling canonico) ovvero la ripetizione di due o più sillabe(come “baba”,”mama”). La comparsa del babbling canonico dopo i 10 mesi e un’assenza del gesto d’indicazione, così come un repertorio lessicale povero a 2 anni, la regressione delle prime abilità linguistiche nel terzo anno di vita possono essere associate a condizione di rischio per successivi disordini di linguaggio e di apprendimento o a condizioni patologiche, quali ipoacusia, deficit cognitivi o autismo.


Quando si può dire che c’è un ritardo di linguaggio?
I Late talkers (parlatori tardivi) più recentemente denominati “bambini con linguaggio a lenta insorgenza” (LLE:Late Language Emergence), sono bambini con uno sviluppo intellettivo e socio-affettivo normale, privi di danni neurologici, sensoriali, che fra i 24 e i 30 mesi presentano manifesto ritardo nel vocabolario espressivo, nessuna combinazione di parole e alterazioni dello sviluppo fonologico. La loro prevalenza è tutt’altro che rara, difatti è stimata fra il 10 e il 20 %. Questi bambini possono evolvere in disturbi specifici di linguaggio ( espressivo, di articolazione o disturbo del linguaggio recettivo).


Come si può intervenire?
Può fare la differenza una presa in carico riabilitativa tempestiva, con intervento sullo stile comunicativo dei genitori col bambino, cosicché, dando valore e significato sia ai segnali verbali che a quelli non verbali del bambino, la relazione genitore-figlio appare più sostenuta, il bambino si sente accolto ed è stimolato a ripetere le parole. La lettura quotidiana di libretti accattivanti e curiosi per il bambino, letti e discussi con enfasi e pause, può facilitare la presa di turno del bambino e il senso di efficacia comunicativa. E’ utile commentare i disegni e fare domande a scelta che instillano nel bambino una sensazione di controllo che lo incoraggia a comunicare di più. Molto importante, nel gioco, ricercare una condivisione dell’attenzione, ripetendo ed ampliando la produzione del bambino.



Ed ora risponde alle domande la Dottoressa Maddalena Castelletti :

Dottoressa Maddalena Castelletti con paziente e madre (foto credit Laura Emma De Pascale)

Da un punto di vista psicologico cosa occorre fare se si accerta che un bambino è un “late talker”? La presenza dello Psicologo è innanzitutto fondamentale nella fase diagnostica. Come spiegava la Dottoressa Razzini infatti, vi sono molte cause che possono compromettere il fisiologico sviluppo del linguaggio. Alcune di esse sono di pertinenza organica (deficit sensoriali) e vanno accertate dal Pediatra; altre richiedono una valutazione psicologica attenta per capire se siamo in presenza di disabilità e/o disturbi neuropsicologici.
In tal caso la presa in carico del piccolo paziente e della sua famiglia sarà interprofessionale ovvero un’équipe formata da logopedista, psicologo, neuropsichiatria infantile e altre figure che possano accompagnare nel percorso in modo efficace.

I genitori possono fare qualcosa?
Certamente il ruolo dei genitori è di primaria importanza. Nella presa in carico dovrebbe sempre essere previsto uno spazio psicologico (a volte basta un solo colloquio) dedicato esclusivamente ai genitori in modo da favorire l’esplicitazione del loro vissuto ovvero le emozioni che provano, le preoccupazioni che sentono e per chiarire ogni dubbio o incertezza.
Talvolta può essere indicato incontrare periodicamente i genitori proprio per sostenerli con continuità nel loro ruolo e per offrire un “contenitore” clinico anche alle fatiche che questo ruolo comporta.

Per maggiori informazioni si può visitare il sito internet della Dottoressa Castelletti a questo indirizzo www.studiodottoressacastelletti.it

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